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Bolivia: tra salares e lagune

La Bolivia: il paese più povero del Sud America. Paesaggi bellissimi dai colori pastello, altopiani desertici a quote superiori ai 4000 metri e circondati da montagne innevate che hanno un’altezza di oltre 6000 metri; lagune con tonalità che spaziano dal rosa al verde ed all’azzurro con numerosissimi fenicotteri rosa e altri volatili che vivono ai loro margini.

Il tutto è contornato in un ambiente crudo dove la presenza umana è quasi totalmente assente. Certamente il godere di tanta bellezza non è esente da disagi, dovuti alla mancanza di servizi, a temperature che di notte possono scendere anche a 20º sotto zero, a levatacce per ammirare i colori dell’alba che, al sorgere del sole, regalano sfumature di colori paragonabili a quelli che un artista riesce a riprodurre sulle tele. Ma la Bolivia non è soltanto natura: al di fuori delle sue città, sulle propaggini delle montagne e degli altopiani, vive il meraviglioso popolo andino, un popolo che sa vivere con poco ma che è molto fiero delle sue origini e delle sue tradizioni. Nella prima metà del 1500 i conquistadores spagnoli, con la croce in una mano e la spada nell’altra,hanno sottomesso gli antichi abitanti, gli Inca, imponendo le loro leggi, le loro usanze e la loro religione. Il popolo andino ha dovuto sottostare alle imposizioni degli spagnoli ma non ha dimenticato le sue tradizioni e la sua religione che sono ancora vive ai giorni nostri; questa popolazione non trova alcun contrasto tra la fede cristiana imposta e la devozione verso le antiche divinità: il sole o Dio Inti, la luna e, prima fra tutti, la madre terra, la Pachamama. Ancora oggi si usa chiedere perdono alla Pachamama prima di svolgere un’azione che possa, in qualche modo, recarle disturbo o che venga ritenuta per qualche motivo offensiva, come entrare in un antico sito Inca. Per farsi perdonare le si offre quello che si ritiene sia per lei più gradito: la coca, l’alcool o il sangue di animali, in particolare dei lama. Nei mercati delle città e dei villaggi si possono trovare in vendita sulle bancarelle dei feti di lama mummificati: vengono donati alla Pachamama, dopo averli avvolti in un drappo di seta assieme ad altri doni, seppellendoli poi sotto le fondamenta prima di costruire una nuova abitazione. Nelle chiese si trovano, come da noi,molti quadri ed affreschi che rappresentano figure sacre,ma sono anche sempre presenti le immagini del sole e della luna, a testimonianza dell’antica fede. Sebbene tutto il paese sia caratterizzato da paesaggi bellissimi, è la parte sud-occidentale la zona dell’altopiano più remota, quella che regala i più bei panorami, visioni mozzafiato con sfumature che variano continuamente di colore. È questa una regione attraversata da poche piste, quasi priva di alberi, scarsamente popolata e soggetta a variazioni climatiche improvvise, ma che può rivelarsi simile al paradiso per quei viaggiatori che sono alla ricerca di luoghi inconsueti e affascinanti: i salares.

Diario di viaggio

Dopo un lungo volo da Roma, con scalo a Miami, atterriamo, all’aeroporto di La Paz. I 4100 metri di quota dell’aeroporto di El Alto, si fanno sentire, tutto il gruppo accusa leggeri giramenti di testa e nausea. Dall’altopiano su cui si trova l’aeroporto possiamo ammirare il panorama della città. La Paz giace sul fondo e si inerpica sui pendii di un vulcano inattivo di 5 Km di larghezza ed è sovrastata dai due massicci: l’Illimani e l’Huayana Potosì; essa trasmette un’immagine indimenticabile ed unica da chi l’ammira dall’alto.

Raggiunto l’albergo, che si trova nella parte bassa della città, a circa 3600 metri, la situazione migliora leggermente e permane solamente un leggero,ma fastidioso, mal di testa che ci accompagnerà durante il nostro primo giorno in Bolivia.  Se aggiungiamo la stanchezza accumulata in 30 ore di viaggio e la notte trascorsa insonne in volo, si comprende perché passiamo l’intera mattinata a dormire. Solo alla sera, seduti al ristorante davanti ad una grossa bistecca accompagnata da patatine, ci sentiamo meglio. Prima meta del nostro viaggio è il Lago Titicaca, situato tra il Perù e la Bolivia. Lo raggiungiamo con un pulmino e ci fermiamo nella cittadina di Copacabana. Da qui partiamo per un trekking di 5 ore percorrendo la sponda del lago in un continuo saliscendi tra alberi di eucalipto fino ad arrivare a Yampupata da dove, con un’imbarcazione, raggiungiamo l’Isla del Sol. Durante il cammino, in un tratto del percorso che si snoda su una bella pavimentazione in pietra, si incontra la riproduzione della Grotta di Lourdes che merita una visita. Questo luogo è meta di pellegrinaggi religiosi effettuati dagli abitanti del posto. Raggiunta l’isola la nostra resistenza fisica, già messa a dura prova dalle 5 ore di cammino a quasi 4000 metri di quota, subisce un altro duro colpo dovendo affrontare la “Escalera dell’Inca” che, dai 3840 metri del lago, porta ai circa 4000 del villaggio di Yumani.

Ci fermiamo a circa metà strada per dissetarci alla “Fontana dell’Inca”, un freschissimo getto d’acqua che sgorga dalla montagna e si immette in tre canali di pietra. Poi, incuranti della fatica, di nuovo in cammino verso il villaggio, situato sulla cima dell’isola, che raggiungiamo quando il sole è già tramontato, guidati dalla poca luce delle lampade frontali. La “Trucia” (trota) del Lago Titicaca consumata a cena riteniamo sia la “giusta ricompensa” per questa lunga e faticosa giornata. Secondo giorno di trekking. Oggi attraversiamo tutta l’Isla del Sol da Sud a Nord. Fortunatamente la tappa risulta meno impegnativa della precedente accompagnata da un fantastico sole. Sull’isola non ci sono veicoli e ci si sposta solamente a piedi o in barca. Questo la rende affascinante ed i fantastici panorami che si ammirano dall’alto, rendono la passeggiata particolarmente piacevole e per niente faticosa. Sull’alto del promontorio settentrionale dell’isola si trova il sito Inca di Chincana, il più spettacolare complesso di rovine dell’isola.

Dopo la visita al sito, ed in particolare alla sua struttura più importante, il Palacio del Inca, affrontiamo la discesa verso il lago dove, con una barca, ritorniamo a Copacabana. La giornata è molto bella, il cielo è di un azzurro intenso senza l’ombra di una nuvola ed il sole si riflette sulle scure acque del lago.Non sembra di essere a quasi 4000 metri ma in riva al mare, in una calda giornata di primavera. Solo toccando le fredde acque del lago scompare all’istante la tentazione di fare un tuffo.Oggi siamo meno stanchi di ieri, quindi la serata a Copacabana si protrae sino dopo l’una di notte attorno ad una bottiglia di pisco festeggiando il primo compleanno. Dopo una mattinata dedicata alla visita della cittadina lacustre ricca di festeggiamenti e mercati, alle 13, con un autobus, ritorniamo a La Paz da dove, alle 18.30, ripartiamo con il bus pubblico che ci condurrà, dopo un lungo viaggio notturno di 12 ore, a Sucre, la capitale della Bolivia.

La città si trova in una valle a 2790 metri di quota, circondata da bassi rilievi. Come tutte le città del Sud America, anche Sucre è disseminata di mercatini con i caratteristici colori e profumi di spezie, dove è possibile trovare ogni genere di merce. Ed è proprio alla visita del suo mercato coperto che dedichiamo la nostra prima mattina a Sucre. Nei dintorni della città sorge un sito paleontologico, situato nell’attuale cava di cemento della Fancesa. La visita di questo luogo impegna il nostro pomeriggio. Si tratta di un’alta parete verticale che si è alzata in conseguenza dei movimenti tettonici provocati dalla deriva dei continenti. Su questa parete sono presenti numerose impronte di notevoli dimensioni, lasciate circa 60 milioni di anni fa da diverse specie di dinosauri.A 65 Km da Sucre si trova la cittadina di Tarabuco dove, la Domenica, si tiene un coloratissimo mercatino nel quale si possono acquistare bellissimi oggetti artigianali. Così la domenica mattina saliamo su di un bus che, in due ore di polverosissima strada, ci porta al villaggio. La merce dai colori sgargianti viene esposta sulle bancarelle disposte intorno alla piazza ,conferendole così un’atmosfera festosa e allegra. Ritornati a Sucre nel pomeriggio, alle 18 si parte per Potosì dove arriviamo alle 21.

Potosì, la città che con i suoi 4090 metri di altitudine risulta essere la più alta del mondo, vede la sua storia legata all’argento. Infatti fu fondata nel 1545, in seguito alla scoperta di minerali ricchi d’argento sul Cerro Rico, la montagna che la sovrasta. Le vene si rivelarono talmente ricche che le sue miniere divennero in breve le più produttive del mondo.L’attuale Potosì è una testimonianza di quella che è stata una grande città coloniale. È alla visita delle sue miniere che dedichiamo la mattina del nostro arrivo nella città. L’escursione alla miniera di Potosì deve necessariamente iniziare con la visita al mercato, dove i minatori si riforniscono di quelli che sono considerati generi primari per il lavoro nella miniera: foglie di coca per alleviare la fatica, sigarette e dinamite; da non dimenticare l’alcool a 96 gradi da offrire alla Madre Terra, la Pachamama, per scusarsi dell’offesa che le si arreca scavando nelle sue viscere. La visita può rivelarsi una delle esperienze più memorabili che si possano vivere in Bolivia in quanto permette di osservare da vicino condizioni di lavoro che sarebbero già state giudicate non umane nel Medioevo. L’interno della miniera presenta gallerie con soffitti bassi e passaggi fangosi, atmosfera con percentuali elevate di gas dannosi, polvere di silice e vapori di acetilene: in sostanza sembra di essere scesi nelle viscere dell’inferno. La parte più interessante consiste nel parlare coi minatori che, in cambio di piccoli doni, vi diranno le loro opinioni sul difficile lavoro da loro svolto. Nei dintorni di Potosì vi sono le sorgenti di Tarapaya da cui sgorgano acque calde dalle proprietà curative. Quale occasione migliore per togliersi la polvere accumulata nelle miniere se non fare un bel bagno in una delle molte piscine che le circondano e che sono alimentate dalle sorgenti? La temperatura esterna, nonostante l’altitudine, è gradevole ed invita a tuffarsi nelle calde acque.Altra meta da non perdere a Potosì è la visita alla “Casa Real de la Moneda ”, l’antica zecca reale ora trasformata in uno dei più bei musei della Bolivia. Così, in attesa di trasferirci a Tupiza, la mattina del 10 agosto le dedichiamo una visita. Il palazzo, dalle imponenti dimensioni, venne costruito tra il 1573 ed il 1773 per coniare le monete direttamente sul luogo di origine del metallo. Nel museo sono custoditi numerosi tesori di valore storico, tra cui la prima locomotiva che ha percorso il territorio boliviano. Nell’interrato sono conservati gli apparecchi manuali utilizzati per coniare le monete, ancora funzionanti. In molte sale sono presenti diverse bacheche che mettono in mostra interessanti monete antiche.

Con un bus, alle 12.30, si parte per Tupiza; 7 ore di strada quasi tutta sterrata, molto polverosa ma panoramica. Lungo il percorso si incontra qualche piccolo villaggio isolato. Molti animali da cortile, tra cui galline e piccoli maialini neri, vagano liberi nei pressi di questi villaggi; penso che, assieme ai pochi frutti che può dare questa terra arida, siano l’unica fonte di sostegno per gli abitanti di questi paesi. Da questo punto finisce la parte “cittadina del viaggio” ed inizia quella più remota e selvaggia. Al nostro arrivo, alle 19.30,Tupiza ci accoglie sotto una leggera pioggia.Tupiza, 2950 metri di altezza, è circondata dagli aspri rilievi della “Cordillera de Chicas” ed è incastonata da uno dei paesaggi più spettacolari della Bolivia. Gli scenari che la circondano sono affascinanti, rocce multicolori, colline, montagne e canyon che ricordano il vecchio west. La nostra visita nei suoi dintorni, fatta con un fuoristrada e alcuni tratti percorsi a piedi, inizia con la “Puerta del Diablo”,una valle caratterizzata da rocce di colore rosso circondate da enormi cactus; si prosegue con la “Valle de Los Machos” con imponenti formazioni erose dagli agenti atmosferici che ricordano i più noti “Camini delle Fate” che si trovano in Cappadocia; il “Canyon del Duento” che offre un meraviglioso scenario costituito da formazioni rocciose e da profondi crepacci coperti da cactus che si stagliano contro le colline rosseggianti. Ed ancora la “Valle del Toroyoj” caratterizzata da spettacolari rocce rosse, il villaggio di Palquiza con la sua bellissima chiesetta che ricorda quelle viste nei film western americani. Il panorama più spettacolare è però quello che ammiriamo da “El Sillar”, letteralmente La Sella, situato a 3600 metri di quota, 15 Km da Tupiza.Arriviamo sul posto al tramonto, l’ora ideale per visitarlo. Da qui si ha una splendida vista sulle sue formazioni geologiche: frastagliati anfiteatri scavati nel fianco della montagna ed erosi a forma di guglie che, illuminati dalla luce del sole che sta tramontando, regalano un panorama mozzafiato. Il 13 di agosto inizia la parte più interessante del viaggio, la visita all’altopiano boliviano con le sue lagune e i suoi salares. Prima tappa è il piccolo villaggio di “Quetena Chico”, situato nei pressi del Vulcano Uturunco (6020 m), un piccolo insediamento che ancora sopravvive grazie all’estrazione dell’oro alluvionale lungo le rive del Rio Quetena, dove i cercatori scavano profonde buche per poi lavare manualmente il materiale separando la sabbia aurifera dall’oro; un lavoro duro e mal retribuito. Ripercorrendo un tratto della medesima strada di due giorni prima, rivisitiamo le guglie di El Sillar. La strada prosegue sempre in salita portandosi rapidamente sull’altopiano, oltre i 4000 metri di quota. Percorriamo le piste polverose soffermandoci ad ammirare questo paesaggio veramente spet-tacolare sino a raggiungere il piccolo villaggio di San Pablo de Lipez, uno dei rari centri abitati dell’altopiano nelle cui vicinanze si trova il villaggio fantasma di Sant’Antonio, creato dagli spagnoli e successivamente abbandonato. Durante il tragitto si fanno i primi incontri con i molti lama, alpaca e vigogne che vivono in queste zone, le più selvagge di tutta la Bolivia.Questa desolata regione desertica d’alta quota è uno dei territori dalle condizioni naturali più severe al mondo, nonché l’ultimo rifugio per molti di questi animali. I panorami che ci circondano sono di una bellezza selvaggia, specialmente quando arriviamo alla Laguna Morecon, la prima delle molte lagune che incontreremo sull’altopiano.

Alle 19.30, quando già è arrivato il buio, arriviamo al villaggio; la sistemazione spartana in una costruzione gelida, priva di illuminazione e di riscaldamento, non è sufficiente per far diminuire il morale del gruppo che rimane decisamente sempre molto alto. Per scacciare il freddo terminiamo la cena a lume di candela ed indossando la giacca a vento, riscaldandoci con un caldo “vin brulè” o, come lo chiamano i locali,“vino caliente”. Levataccia e partenza alle 5 del mattino per andare ad ammirare l’alba alla Laguna Celeste,meta ancora poco nota ai viaggiatori ma che merita certamente una visita, specialmente se si arriva sulle sue sponde prima del sorgere del sole. Cerchiamo di mitigare il freddo pungente dei momenti che precedono l’alba accendendo diversi fuochi sulle sponde della laguna.All’alba le sue acque si dipingono di colori che si fanno via via più caldi ed il riflesso delle montagne che vi si specchiano formano un paesaggio di una bellezza irreale: i disagi affrontati sono tutti ampiamente ricompensati! I paesaggi che si incontrano durante il tragitto sono sempre stupendi, si attraversa un territorio con vulcani ancora attivi, geyser, acque termali, lagune e deserti di sale. Il terreno è saturo di minerali che,mischiandosi all’acqua, producono colori impensabili creando lagune spettacolari. Molte sono le lagune ed i salares che si incontrano, tra cui: la Laguna Hedionda Sur, la Laguna Collpa con le sue formazioni di borace, il salar de Chalbri, la Laguna Polchis, anch’essa con formazioni di borace, la Laguna Verde, dalle sfumature di colori impensabili che passano dal verde al blu, situata in una zona esposta e sempre battuta da un vento gelido, dietro la quale si erge l’immenso cono di 5960 metri del vulcano Licancabur. L’ultima laguna che si incontra, prima del confine cileno, è la Laguna Blanca.

Qui, durante la sosta per il pranzo, inizia a nevicare. In poco tempo il terreno si ricopre di un leggero strato di neve ed il paesaggio, già bellissimo, assume un fascino particolare. Iniziamo la seconda parte della nostra visita all’altopiano: prima meta la Laguna Colorada. Il tempo è splendido ed il cielo azzurro intenso, senza nuvole, anche se l’aria è fredda e soffia un vento gelido. Una veloce visita al geyser Apaceta, ad oltre 4800 metri di quota, e si prosegue per la Laguna Colorada dove giungiamo al tramonto. La Laguna, dalle acque color rosso fuoco, si trova a 4278 metri di altezza, copre un’area di circa 60 Km. e raggiunge una profondità di appena 80 cm. La vivace colorazione rossa è dovuta alle alghe ed al plancton che si trovano nelle sue acque ricche di minerali.Tantissimi sono i fenicotteri che qui si possono osservare e che sembrano aver eletto questa zona come la migliore per la loro riproduzione, nonostante le gelide temperature che, di notte, possono scendere al di sotto dei -20º. Dal luogo dove ci fermiamo la laguna sembra vicina, a due passi. Così, non-ostante stia calando la sera ed il freddo sia intenso, decidiamo di raggiungerla a piedi, solo un lungo pianoro, ricoperto da molte pietre, ci separa da lei. La meta odierna è il villaggio di San Juan del Rosario. Prima di partire dedichiamo qualche ora alla visita della laguna che, illuminata dalla luce mattutina, si mostra in tutto il suo splendore. I moltissimi fenicotteri che vivono sulle sue sponde non sembrano essere disturbati dalla nostra presenza e continuano a cercare il cibo nelle sue basse acque. Il paesaggio è molto suggestivo e la bellezza del posto ci aiuta a sopportare il freddo ed il vento gelido che continua a soffiare. Questa è sicuramente la località più bella osservata sino ad ora. Si prosegue con l’attraversamento del deserto di Siloli, 18 Km a nord della Laguna Colorada. Qui si incontrano diverse strane formazioni rocciose di cui la più nota è sicuramente quella chiamata “Arbol de Piedra”,Albero di Pietra.Questa conformazione, che assomiglia veramente ad un albero, è formata da una roccia erosa dal vento che si erge nella distesa desolata del deserto. Numerose e bellissime sono le lagune che costeggiamo: la Laguna Honda, la Laguna Chota, la Laguna Hedionda Nord a 4186 metri, molto ricca di fenicotteri, la Laguna Canapa a 4151 metri, un grosso lago salato circondato da alte montagne. Si parte, quindi,  per la cittadina di Uyuni e il suo celebre Salar, una sconfinata distesa di sale con molte “isole” che sembrano spuntare dal mare. Il tempo non promette niente di buono, nonostante la leggera pioggia che ci accompagna il paesaggio non perde il suo fascino selvaggio. Il Salar de Uyuni, con i suoi 12.106 Km di superficie, costituisce la salina più grande della Bolivia. Questa parte dell’Altipiano era un tempo completamente sommersa dall’acqua. Nelle rocce calcaree di quello che doveva essere un lago sono visibili fossili di corallo. I depositi salini derivano dai minerali provenienti dalle montagne e depositatisi nella zona. Oggi il Salar è diventato una zona di estrazione e lavorazione del sale che ha il suo epicentro nella cittadina di Colchani, situato a 20 Km da Uyuni. Quando la superficie si asciuga, le saline trasformano il paesaggio in una bianca distesa accecante dalle dimensioni infinite, quando invece queste pianure si ricoprono d’acqua, si formano degli specchi che riflettono alla perfezione il paesaggio e l’orizzonte scompare. Attraversando questi pianori l’effetto è soprannaturale e sembra di essere sospesi nell’aria.Tra le molte “isole” che sorgono dalla bianca distesa di sale, la più famosa è certamente l’incantevole  Isla del Pescado.

Si pensa che il suo nome derivi dalla sua forma, che ricorda un pesce riflesso nel Salar. L’intera isola è ricoperta da cactus e circondata da un “mare” bianco di mattonelle di sale dalla forma esagonale. Lasciati i fuoristrada ci inerpichiamo sino alla sommità dell’isola da dove si ha una bella visuale sulla sconfinata distesa di sale che si perde a 360° nella foschia. Solo la leggera pioggia che cade guasta l’incanto del paesaggio.Continuando il viaggio verso Uyuni si incontra l’Hotel di Sale. Questo singolare hotel è costruito interamente con blocchi di sale ed è situato a circa 20 Km da Colchani. Come albergo non è un granché, ma la sua posizione all’interno del Salar esercita un certo fascino sui visitatori. Interessante e singolare il cartello posto subito dopo l’ingresso che invita chi entra a consumare qualche cosa al bar prima di iniziare la visita alla dimora di sale. Raggiunta la cittadina di Uyuni, prima di recarsi in hotel, visitiamo il “cimitero dei treni”, la più grande attrattiva del luogo, dopo il Salar: un’enorme ammasso di vecchie locomotive a vapore e vagoni abbandonati a 1 Km dal paese. Interessanti le ironiche scritte che si vedono su alcune delle vecchie locomotive, in particolare una che chiede l’intervento urgente di un buon meccanico. La città di Uyuni non offre praticamente altro se non un intenso freddo e le strade caratterizzate da correnti d’aria gelida. Il 20 di agosto si ritorna sul Salar, questa volta con un bel sole. Si ripercorre parte del tragitto già fatto il giorno prima e si raggiunge un’isola su cui sorge il piccolo villaggio di Coqueza, sovrastato dal vulcano Tunupa (5400 m). Davanti al paese, una serie di sorgenti forma una lingua d’acqua che separa la terra dal Salar. Quest’acqua e’ presente in tutte le stagioni,mentre il Salar si scioglie soltanto nella stagione delle piogge; per questo, a Coqueza si arriva su una strada realizzata su un terrapieno artificiale, di larghezza appena sufficiente al passaggio di una automobile, segnalato ai lati da alcune pietre, e parzialmente sommerso. Sulla riva del Salar pascolano numerosi lama e nell’acqua, a poca distanza da noi, una bella colonia di fenicotteri rosa.

Il dormitorio in cui alloggiamo ha pareti in mattoni di terra cruda, intonacate di fango e dipinte di bianco; il soffitto è realizzato con tele di sacco cucite insieme, inchiodate alle pareti e dipinte con la stessa tempera bianca. C’e’ però una finestra, sufficiente ad incanalare un po’ di vento. Sulle pendici del Vulcano Tunupa, all’interno di una grotta, sono custoditi i corpi di uomini mummificati da un migliaio di anni, appartenuti all’antica popolazione Chipaya. È alla visita di questo sito che dedichiamo il pomeriggio. I riti officiati di recente e le offerte da poco deposte alla base delle umili tombe, ci fanno capire quanto sia stretto, ancora oggi, il legame che le popolazioni andine sentono con i loro antenati. Purtroppo si comprende anche che l’isolamento di questi luoghi ha contribuito al progressivo impoverimento delle tombe ad opera di tombaroli e collezionisti privati. Terminata la visita al sito alcuni di noi decidono di salire al colle che si trova sotto il vulcano.  La salita agli oltre 4500 metri del colle è fatta su di un comodo sentiero,ma la quota si fa sentire. Il bel panorama sul villaggio di Coqueza e sul Salar ripaga della fatica fatta; peccato non avere il tempo per cercare di raggiungere la cima, dobbiamo scendere per non farci sorprendere dal buio. Il paesaggio dell’altopiano è sempre affascinante; oltrepassiamo un altro salar, quello di Coipasa a 3786 metri di quota,molto più piccolo e meno spettacolare di quello di Uyuni. Il nostro viaggio volge al termine, siamo ritornati a La Paz, dove rimaniamo ancora due giorni prima di intraprendere il percorso di ritorno verso l’Italia. Il primo giorno lo dedichiamo alla visita della città. Purtroppo non possiamo recarci nei dintorni perché c’è uno sciopero generale di tutti i mezzi di trasporto, taxi compresi a causa del crescente prezzo del gasolio.Ci sono svariate manifestazione di campesinos con relativa carica dei poliziotti. Concludiamo la nostra permanenza in Bolivia con un’emozionante discesa in mountain bike. Con un pulmino, che trasporta anche le biciclette, raggiungiamo La Cumbre,un passo a quasi 4700 metri che attraversa la Cordillera.Da qui, con un percorso di 70 Km di cui solo i primi 20 asfaltati, si raggiunge il villaggio di Coroico a circa 1200 metri, scendendo quindi di circa 3500 metri. La strada che collega La Paz a Coroico è ufficialmente nominata “La strada più pericolosa del mondo” per il gran numero di incidenti fatali che vi si verificano. Nonostante tutto questo, la discesa in bicicletta da La Cumbre a Coroico è uno dei percorsi più leggendari in Bolivia, perché consente di unire il piacere di una lunga discesa con quello dell’arrivo in una splendida località. Il panorama “verticale” che si osserva dalla strada-sentiero che scende a Coroico è una vera delizia per chi la percorre in bicicletta, qui si ha la possibilità di starsene seduti senza pedalare lasciando che la gravità faccia il resto! Lungo il tragitto si può ammirare un paesaggio incredibilmente vario mentre si compie una spettacolare discesa in uno scenario totalmente diverso da quello osservato dall’altro lato della Cordillera; gli affascinanti ma brulli altopiani sono sostituiti da pareti quasi verticali dove cresce una lussureggiante vegetazione.Direi che il viaggio si è concluso con una performance storica di tutto il gruppo.

Foto di Angela La Face

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