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Il volto di Hanoi

Nel volto di Hanoi si legge la storia di un paese antico, governato per mille anni dai cinesi e per mezzo secolo dai francesi.

Si abbracciano sul molo, stretti nelle loro T-shirt nere, illuminati dagli ultimi lampi rossi del sole che scivola dolcemente nel Lago Occidentale di Hanoi. Sono appena scesi da una barca e si avviano verso il loro motorino parcheggiato sotto gli alberi della riva. «La porto spesso in questo lago perchè è il lago romantico della mia città e il tramonto è stupendo», racconta Ngo Van Luc, una guida turistica di 27 anni. Luc ha conosciuto Pham Thi Ngon, una ragazza di Saigon, anche lei guida turistica, due anni fa. Ngon era in trasferta ad Hanoi con un gruppo di turisti giapponesi quando perse l’orientamento tra i vicoli del quartiere francese. «L’ho aiutata a ritrovare la strada e a trovare l’amore», sorride Luc.

Sono le sei del pomeriggio di un martedi di piena estate. La superficie dell’acqua verdastra e increspata da una brezza ap­pena percettibile, impregnata di un caldo umido e dolciastro che scardina le priorità e libera le emozioni. Mentre i due ragazzi si allontanano, decine di loro coetanei s’imbarcano su pedalò a forma di cigni bianchi e scivolano leggeri verso il centro del lago, alla ricerca di un’ora di solitudine. «Ogni pomeriggio, dopo le cinque, il lago si riempie di coppiette» spiega una venditrice di noci di cocco: «Escono dagli uffici e s’incontrano in barca prima che faccia buio». Trent’anni dopo la fine della guerra contro gli americani e cinquant’anni dopo la fine della guerra d’indipendenza dai francesi, la capitale del Vietnam trasuda sensualità: una sensualità asfissiante, bagnata e paralizzante come Phanno vissuta nel delta del Mekong i lettori di Marguerite Duras. Avvolta dalle acque intense del Fiume Rosso, penetrata da una decina di laghetti, inondata dai verde rigoglioso di alberi e fiori giganteschi, contenuta da migliaia di villette strettissime, dai colori pastello e dalle ringhiere in ferro battuto, Hanoi e ancora bella.

Come le capitali asiatiche – da Pechino a Bangkok – non sono più e anche lei presto non sarà. E questione di pochi anni. Arriverà anche qui l’ondata palazzinara che ha deva­state alcune delle città più belle del Continente orientale in nome di una modernità che sa di casermoni anonimi e insegne multicolori. Ma oggi la città che sorge “nell’insenatura del fiume”, come dice il suo nome, ha an­cora scolpita nelle sue vie la storia di un paese antico governato per mil­le anni dai cinesi e per mezzo secolo dai fran­cesi. Nelle ceste di paglia dei suoi negozi si mescolano sapori asiatici e profumi occi­dentali. Nei vestiti delle sue donne, i colori della sete pechinesi e il taglio raffinato del­le dame francesi. Le case sono palazzine larghe al massimo tre metri e alte tre o quat-tro piani. Per sfuggire ai costi elevati del ter-reno s’innalzano pavimenti, ballatoi e sca­le, interrotte da colonnine e cancelletti che delimitano gli spazi. Ovunque, vasi di fiori e rampicanti: sono le piante, 1’acqua e 1’ir-regolarità delle costruzioni a dare alla città la sua aria irresistibilmente romantica. E poi ci sono i risciò. Non più tirati da un uomo ma issati su due ruote, spingono timide ragazze vietnamite e sperduti turisti sudati tra mercatini di fiori, boutique di lacche colorate e pagode seminascoste. Ad Hanoi i ciclisti non devono competere con i Suv perchè il traffico e composto per la maggior parte da motorini e scooter che, in sciami ordinati, guidati da regole segrete che niente hanno a che spartire con il codice della strada, scorrono tra templi e ristorantini all’aperto. In sella, due innamo-rati, o due ragazze vestite di tutto punto, tacchi lucidi compresi, oppure un’intera famigliola, con tanto di bebè avvolto in un panno, stretto tra la mamma e il papa saldamente alla guida.

Quando un giorno non troppo lontano tasse e tariffe saranno eliminate e le automobili potranno essere acquistate a prezzi di mercato, la metamorfosi dei veicoli a due ruote paralizzerà la città: tre milioni e mezzo di abitanti uti-lizzano oggi due milioni e mezzo di biruote, tra motorini e Vespe Piaggio, costosissime e molto ambite. Gia’ ora il governo, uno dei cinque regimi ufficialmente comunisti rimasti al mondo, sta vagliando una serie di piani per chiudere il centro storico, il quartiere delle ville francesi, con i suoi vicoli troppo stretti per il traffico di questo secolo. La sede del Parlamento, in pieno centro, sarà traslocata insieme ad altri edifici governativi in palazzi moderni nella zona occidentale di Hanoi, verso l’areoporto, dove al momento sorge solitario e anacronistico un gigantesco arco di marmo bianco coronato da una manciata di cavalli imbizzarriti di bronzo, stile porta di Brandeburgo, e un enorme supermercato, ancora una rarità in centro città.

Sopravvivono infatti i piccoli negozi di alimentari, le botteghe dove acquistare vesti­ti colorati, scarpe a poco prezzo, spesso importate dalla Cina, o le più comuni ciabat-tine in plastica, perfette per il clima locale. Nelle strade più larghe si fanno spazio grandiosi mercati della frutta e dei fiori che ogni mattina bloccano il traffico sulla circonvallazione appena costruita. Contadini a piedi con due ceste in bilico su un’asta appoggiata sulle spalle o in bicicletta, carica di verdura al punto che diventa impossibi-le guidarla rimanendo in sella, arrivano alle tre del mattino per vendere i propri ortaggi. Li vedi, il cappello di paglia conico legato con un fazzoletto sotto il mento, seduti sull’asfalto, tranquilli, mentre i motorini fanno lo slalom e a volte si fermano a comprare. «Per velocizzare il traffico, forse non dovrebbero piu permettere il merca-to in autostrada», suggerisce Simone Landini, il primo segretario dell’ambasciata italiana. E ha ragione. Ma il bello di Hanoi e che la vita scorre ancora cosi. Piu lentamente che nella frenetica Saigon, nel sud del Paese, tutta presa dal commercio e dalle firme del consumismo internazionale. La ricchezza qui arriva, ma con calma. Si mangia ancora su sgabelli di plastica blu in mezzo al marciapiede, con la mamma in grembiule china sul fornelletto da campeggio che per 70 centesimi di euro vende ai passanti il suo “pho”, la zuppa di spaghet­ti, manzo e coriandolo che del Vietnam e il piatto nazionale. La vita si svolge per strada: in casa si dorme in tanti su una stuoia. D’estate fa troppo caldo, d’inverno troppo freddo. I primi soldi si spendono innanzitutto sul motorino, poi su condizionatore e scaldabagno rigorosamente firmato (ogni nazione ha le sue manie) e quindi su scarpe possibilmente italiane. I mobili di design e la cappa all’ultimo grido possono aspettare ancora qualche anno. II ritmo di Hanoi si ascolta all’aperto: nei parchi, dove si fa ginnastica a suon di musica rock fin dalle prime ore dell’alba, lungo il flume e i laghi, le cui acque offrono un effetto anestetiz-zante all’anima concitata, e, immancabilmente, nei templi buddisti.

Per passatempo i ragazzi con pochi mezzi fanno un giro in motorino abbracciando la città. Chi può invitare la propria fidanzata in un ristorante di lusso sceglie rigorosa­mente un menu locale. «Il cibo vietnamita e più buono e sano di quello cinese, così olioso», spiega Pham Quang Minh, proprietario del ristorante più noto della città, l’Emperor. Ospitato in una vecchia villa di legno in stile antico, con tanto di portico e laghetto, sorprende per l’atmosfera colo­niale che vi si respira a dispetto del fatto che il colonialismo sia stato ripetutamente sconfitto. Ma non le sue opere più belle. II fascino di Hanoi e nell’equilibrio tra vinti e vincitori, tra le rivendicazioni del presente e le suggestioni straniere del passato. Tem­pli, pagode cinesi, sontuose residenze francesi e antiche leggende vietnamite hanno resistito orgogliosamente alle bombe americane e agli architetti russi. Secondo un racconto che gli anziani sussurrano ai bambini sul bordo del lago centrale della città, a meta del XV secolo, il cielo inviò all’imperatore Le Loi una spada magica con cui cacciare i cinesi dal Paese. II giorno dopo la vittoria, mentre nuotava nel lago, l’imperatore s’imbattè in una tartaruga gigante che afferrò la spada e spari nella profondità delle acque. Da quel giorno il lago si chiama Hoan Kiem, ovvero “la spada restituita”, in memoria della pace ristabilita. Su un isolotto al centro del lago sorge un tempio dedicato alla tartaru­ga. «Ancora oggi vive nel lago una grande tartaruga», spiega Dominh Thuy, una giornalista vietnamita: «Si dice che porti fortuna a colui che riesce a vederla».

 Federica Bianchi da il settimanale “L’Espresso”

Foto di Angela La Face

 

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